
Di quella volta in cui ho fatto la cat sitter
La mia prima esperienza da cat sitter. Di un gatto indemoniato. E in maniera del tutto inaspettata. Ma è stato parecchio divertente.
Il messaggio
Era un weekend. Stavo tentando di completare l’ennesima missione secondaria della mia ennesima run di Dragon Age Inquisition (Dragon Age è uno dei miei videogiochi preferiti!), quando il mio compagno era giunto con un lieto annuncio: “U. va in ferie per una decina di giorni e mi ha appena mandato un messaggio chiedendomi se possiamo tenere Simba, il suo gatto“.
E ME LO CHIEDI PURE?!
Credo che a questo punto sia doveroso fare una precisazione: il titolo di questo blog deriva, in parte, dal fatto che io sono OSSESSIONATA dai gatti. Ok, so che mi state già immaginando come una gattara con 60 esemplari in giro per casa, la vestaglia a fiori blu e la sigaretta in bocca mentre spiattella della pappa puzzolente nelle loro ciotole. No, purtroppo al momento non possiedo nemmeno mezzo gatto. Ma li adoro e per me prendermi cura di loro è una gioia infinita.
Chiusa questa parentesi, penso sia superfluo dire che ovviamente la mia risposta era stata un “Sì” accompagnato da uno scintillare d’occhi.

Stavo per fare la cat sitter. Ma non sapevo ancora a cosa stessi per andare incontro.
“Six six six the number of the beasHt”
La mia prima esperienza da cat sitter era iniziata pochi giorni dopo. La besHtia era infine arrivata. Si trattava di un meraviglioso maschio arancione, grosso come un leone (il nome Simba era oltremodo azzeccato) che avevo già conosciuto in passato quando era ancora un cucciolo smilzo e tutt’occhi. Un tenerello, insomma.
Tuttavia, nel momento in cui U., il suo proprietario, lo aveva adagiato sul pavimento della mia cucina, capii che di tenerello era rimasto ben poco. Ovviamente terrorizzato dall’ambiente nuovo e sconosciuto, Simba aveva iniziato a soffiare e ringhiare (sì, come i cani) a chiunque tentasse di avvicinarlo – adagio, con calma e in armatura di piastre completa.
Quando il proprietario aveva lasciato casa nostra, avevamo impiegato un’intera serata per convincere Simba che nessuno tra noi era lì per infilarlo su uno spiedo e farlo arrosto. Da bravi cat sitter wannabe lo avevamo lasciato lì, libero di passeggiare in giro per la cucina e annusare tutta la gamma di odori nuovi che penetravano il suo nasone rosa.
Finalmente resosi conto di non essere in pericolo, Simba si era poi diretto verso le altre stanze della casa, stabilendosi nella “zona notte” e cercando dei luoghi in cui potersi nascondere senza che nessuno gli rompesse le scatole (io, a questo proposito, avevo lasciato l’anta della mia metà d’armadio aperta e così mi sono ritrovata con una montagna di peli su una montagna di vestiti). Quello per me era il momento: contro la sua volontà di stare tranquillo e sereno, ero andata da lui e avevo tentato di coccolarlo mentre se ne stava sdraiato in posizione edonistica.
E SBAM!
Una zampata da 3 tonnellate dritta sul dorso della mano. C’è da dire che Simba ha tirato fuori le unghie solo una volta o 2 durante la sua permanenza a casa mia, ma le sue zampate equivalevano ad una cinquina di zia Carmela quando provavi ad assaggiare il sugo della parmigiana. Senza contare poi che Simba non si limitava a schiaffeggiare gli arti una volta soltanto, ma partiva con una raffica degna di Ken Shiro.
E se ancora non vi basta, provare a coccolarlo su quel pelo morbidissimo e arancione, significava beccarsi anche una strigliata a suon di soffi e ringhi bassi e minacciosi. Insomma, una besHtia!

Domare il leone
Nei giorni seguenti, il gattone a cui stavo facendo da cat sitter aveva preso a giocare con noi, farsi coccolare (solo per pochi, fugaci secondi) e addirittura a dormire sul lettone, accoccolato tra i nostri piedi. Ma non era stato facile arrivare a questi traguardi: era stato necessario, ad esempio, corromperlo con i suoi croccantini preferiti (a niente era valso proporgli l’umido delle migliori marche e i crocchi di pesce). Lui voleva solo i croccantini di pollo e mela. Punto.
Eravamo dovuti passare, poi, attraverso un sentiero fatto di manate ogni qual volta cercavamo di accarezzarlo sul testone (sì, non posso più dire che fossero zampate. Erano vere e proprie MANATE), soffi, ringhi, attacchi rivolti verso il viso (menomale che sia io che il mio compagno abbiamo gli occhiali!) e una generale indifferenza (la quale forse fa più male, sigh).
Avevo scoperto, inoltre, che adorava giocare a rincorrerci. Era in grado di farti capire quando voleva giocare perché si nascondeva – magari dietro ad una porta – attendendo nell’ombra, per poi saltarti sui piedi in un agguato fulmineo e schizzare via in un macchia arancione che Flash levati. Soprattutto al mattino, perciò, io e Simba eravamo riusciti ad incontrarci in questo nostro, piccolo rituale, in cui lui si nascondeva ed io dovevo tentare d’acchiapparlo, correndo da un capo all’altro della casa come una demente.
Il leone era stato finalmente domato? Non proprio.
“Quel quadro mi sembra una finestra”
Anche il mio compagno, suo malgrado, si era ritrovato fare da cat sitter (gli piacciono i gatti, ma la loro assenza in casa lo lascia indifferente, io invece ne vorrei a palate!). Aveva persino ricavato una gattaiola dalla nostra porta-finestra in modo che Simba potesse entrare ed uscire sul balcone ogni volta che voleva, anche quando non ci trovavamo in casa.
Tuttavia, un giorno, era avvenuto un fatto che aveva smosso l’imperturbabilità di quell’uomo che mi sopporta in casa: Simba aveva scoperto il quadro appeso sulla parete dell’ingresso.
E che c’è di strano?
Il fatto di essere grande e grosso deve avere una correlazione col cervellino piccolo, perché Simba ha creduto, per tutto il tempo in cui è stato nostro ospite, che quel quadro fosse una finestra. E voleva che venisse aperta, ad ogni costo, benché avesse a disposizione ben due balconi su cui poter sgranchire il suo culone arancione. Era così certo che quella fosse una finestra che, quel fatidico giorno in cui ne aveva scoperto l’esistenza, la besHtia aveva fatto un balzo sul mobile sottostante, aveva assunto una posizione eretta e iniziato a grattare il pannello di plastica che protegge il dipinto con le sue unghie da leone. Pratica che si è ripetuta anche nei giorni seguenti.
Sostituiremo il pannello con un vetro vero, un giorno, ma per il momento il mio compagno ogni tanto si ferma ancora a guardare i solchi e scuote la testa.
Torna a casa, Simba!
Noi ci eravamo affezionati a Simba. Simba si era affezionato a noi – quando tornavamo a casa da lavoro, era tutto un “Purr purr”, moine, strofinamenti sulle gambe e chi più ne ha più ne metta. Sapevamo, però, che desiderava tornare a casa dalla sua famiglia e che noi, in fondo, eravamo solo due cat sitter, due tizi di passaggio fornitori di pappa, acqua, coccole e sabbietta pulita.
Così non fummo sorpresi di vedere il modo in cui il suo sguardo si era posato sul suo proprietario quando questi era passato a riprenderlo. Avete presente il Gatto con gli stivali? Ecco.
La vista del trasportino aveva un po’ rovinato questo momento magico: Simba era schizzato via nel primo nascondiglio utile, costringendo tutti a mobilitarsi per acciuffarlo e infilarlo dentro a quel portale dimensionale che fa entrare i gatti in un luogo per farli sbucare fuori in un altro (es.: casa -> veterinario).

Alla fine, però, quando quel piccolo leone aveva lasciato la nostra casa, era rimasto un vuoto. C’era improvvisamente un silenzio innaturale e in determinati punti della casa sembrava che mancasse un elemento fondamentale.
Nei giorni successivi, era diventato persino strano non dover dire frasi come “Simba, scendi giù dal mobile!” o “Simba, ma quanto puzza la tua caccona?!”.
Tutto questo per dire che fare i cat sitter, soprattutto di mici molto vivaci e giocherelloni o piuttosto diffidenti, può essere impegnativo e richiede cura e pazienza.
Ma non avere un gatto in giro per casa la rende decisamente troppo grande e vuota.